GIACINTO ALBINI

Tra le tante personalità che hanno legato il loro nome all’Unità d’Italia c’è il montemurrese Giacinto Albini. Nasce a Napoli il 24 marzo 1821 ed è discendente di una famiglia originaria di Sarconi (comune della Valle dell’Agri) che nella seconda metà del XVI secolo si è trasferita a Montemurro. Giacinto è il primogenito del medico Gaetano Albini e di Elisabetta Morgigno di Napoli e con i suoi fratelli Vittoria, Erminia, Mariantonia, Nicola Maria Giovanni, Anna, Giovanni, Tommaso Domenico, abita nei pressi della chiesa di San Domenico annessa al Convento della Santissima Annunziata. A Montemurro trascorre l’adolescenza sotto la guida di insegnanti privati. A Latronico poi inizia gli studi di diritto civile e nel 1842 si trasferisce a Napoli, dove consegue la laurea in Legge l’anno successivo. Nel 1845 si laurea anche in Lettere ed ottiene la licenza per il pubblico insegnamento. Ma alla professione di avvocato preferisce le disamine dei circoli letterari, dove trova terreno fertile per i suoi orientamenti politici sempre più di stampo liberale. Dal 1846 infatti prende parte alla preparazione dei moti rivoluzionari del 1848 e a Montemurro fonda e dirige un Circolo Costituzionale, il cui obiettivo è premere affinché il re conceda la Costituzione nel Regno delle Due Sicilie, concessione effettivamente accordata. Rimasto però scettico riguardo a tale provvedimento, assiste difatti alla sua revoca e alle conseguenti condanne inflitte dal governo borbonico agli animatori della cospirazione, per lo più appartenenti al Circolo montemurrese. Per gli stessi motivi anche Albini viene ricercato. Ordini di cattura a suo carico vengono emessi dalle corti di Napoli, Salerno e Catanzaro. Si rifugia tra le montagne lucane e calabresi, continuando ad organizzare la rivolta contro i Borbone da estendere in tutta la Provincia di Basilicata. Nel 1850 fonda a Montemurro il Comitato repubblicano, la cui sede è all’interno di palazzo Marra (sulla facciata esterna tutt’oggi una lapide ricorda i nomi dei componenti). Nel 1852, ottenuta l’indulgenza sovrana, esce dalla clandestinità per trasferirsi a Napoli, dove istruisce i suoi conterranei mantenendo sempre i contatti con la Provincia d’origine. Nel 1854 insieme a Giuseppe Fanelli, Luigi Dragone e Giovanni Matina dà vita al Comitato Mazziniano, corrispondendo con lo stesso Mazzini esule a Londra. In parallelo avanzano le attività del comitato montemurrese che per la propaganda repubblicana può fare affidamento sui rapporti commerciali esistenti sull’intero Mezzogiorno. Montemurro è, infatti, un centro commerciale di rilievo grazie alle sue attività economiche, sicché i negozianti si adoperano per scambiare, oltre alle mercanzie, opuscoli, proclami e corrispondenze. Giacinto Albini intanto, sotto falso nome, viaggia molto tra i comitati e sub-comitati salernitani e calabresi costituitisi nel 1856. Per l’opera di proselitismo è coadiuvato dal fratello Nicola. Nel frattempo sposa nel 1855 Adelaide Ferroni di Napoli, che dopo 12 anni muore lasciandolo solo con i figli Elisa, Gaetano, Francesco e Decio. Dopo il fallito tentativo della spedizione di Sapri dove trova la morte l’amico Carlo Pisacane, Montemurro diviene centro d’azione della Basilicata con Albini di nuovo costretto alla clandestinità per via dell’inasprimento delle misure borboniche. Il 16 dicembre del 1857 un terribile terremoto purtroppo si abbatte sulla Val d’Agri e il vicino Vallo di Diano. È sera e la distruzione spegne le vite di 4.000 montemurresi. Il paese contava 8.000 abitanti. Giacinto Albini, che quella notte si trova a casa del barone Netti, si salva miracolosamente protetto a mala pena da una scala di legno. È tratto in salvo dopo più di 24 ore. L’avversità comunque non lo distoglie dalla cospirazione. Trasferisce il Comitato nella casa di campagna di Luigi Marra ma dopo l’arresto del fratello Nicola deve spostare il Comitato a Corleto Perticara, nella casa di Carmine Senise. Da qui riprende in mano una situazione resa difficile dai danni del terremoto, continuando a dirigere i Comitati insurrezionali lucani e pugliesi. Gli eventi, tuttavia, sembrano volgere in suo favore. È in atto la spedizione garibaldina e l’evento conferisce nuovo vigore ai moti insurrezionali. Il 10 agosto 1859 Albini con alcuni compagni lascia Napoli nello stesso giorno in cui il fratello Nicola, che ha ottenuto l’amnistia in seguito alla morte del re Ferdinando II, si reca a Viggiano con al seguito molti montemurresi. Sventolano la bandiera ed indossano le coccarde tricolori confezionate dalla sorella Vittoria Albini, anche lei fervente patriota e instancabile sostenitrice dei fratelli contro le incursioni della polizia borbonica. I viggianesi entusiasti li accolgono al grido “Viva l’Italia con Vittorio Emanuele”. Il 15 agosto 1860 Giacinto Albini, accompagnato da Nicola Mignogna, si reca a Montemurro per riabbracciare il padre prima di tentare la rischiosissima impresa. Il giorno dopo consegnatagli la bandiera tricolore realizzata dalle figlie del barone Netti, si dirigono a Corleto e da qui il 18 agosto partono alla volta di Potenza, seguiti da un numero crescente di volontari provenienti da Montemurro, da altri centri lucani e dalle regioni limitrofe. A Potenza dichiarano decaduto il governo borbonico e ne proclamano uno provvisorio in nome di Vittorio Emanuele re d’Italia e di Garibaldi dittatore delle Due Sicilie. Albini e Mignogna ne sono i pro-dittatori. Tutto ciò avviene mentre Garibaldi è ancora in Sicilia. Sull’esempio lucano insorgono, dopo qualche giorno, la Calabria e il Salernitano. Un blando tentativo del re di sedare la rivolta fallisce davanti alla tenacia ostativa dei lucani, di ogni classe sociale e genere. L’esercito infatti si ritira praticamente senza combattere. Garibaldi giunto ad Auletta (provincia di Salerno) il 5 settembre 1860 incontra Giacinto Albini, che nomina poi Governatore della Basilicata con poteri illimitati. Costui a sua volta nomina Giacomo Racioppi suo segretario generale. Diversi sono i riconoscimenti per quell’epico trionfo. Il re Umberto I l’11 dicembre 1898 conferisce alla città di Potenza la medaglia d’oro. Alexandre Dumas ne “Les garibaldiens. Revolution de Sicilie et Naples” dà risalto alla rivoluzione potentina del 18 agosto 1860, riportando l’affluenza delle masse, l’organizzazione della rivolta e la rinuncia dei soldati reali a soffocarla. Nel resoconto sull’avventura garibaldina, l’autore cita tra gli altri Giacinto Albini e sottolinea il cuore patriottico di coloro che dalla Basilicata diffusero nel Mezzogiorno l’ideale dello Stato unitario.

Divenuto Governatore della sua regione, Albini prova ad andare incontro alle esigenze della sua gente, provata dalle difficili condizioni economiche e sociali in cui versa. Ma ogni soluzione che individua, seppur basata sull’equità e sulla saggezza, cade nel vuoto a causa del clima generale propenso agli interessi della classe più abbiente. Il suo governo dura poco e i suoi alti e nobili ideali soccombono davanti ai tornaconti personali e all’indirizzo del nuovo Governo, poco incline alle richieste del Sud. Viene destinato ad altri incarichi. Dal 1 novembre 1860 è ufficiale di dipartimento alla ex presidenza dei Ministri a Napoli. Nel 1861 è eletto deputato nel collegio di Lagonegro e Melfi ma rinuncia al seggio in Parlamento, restando direttore della Stamperia reale di Napoli. Si ritira poi a vita privata vivendo nella compostezza di chi non sa chiedere né rivendicare diritti. Ritorna alla vita pubblica con la nomina a Tesoriere Generale nella Provincia di Benevento e poi a Conservatore delle Ipoteche di Basilicata. Eletto consigliere comunale di Benevento e, nel 1867, di Napoli torna a Montemurro dove è sindaco dal 1876 al 1878. Muore a Potenza l’11 marzo 1884 tra il compianto generale.

Nel primo centenario della nascita del “Mazzini lucano”, come lo aveva definito Francesco Crispi, il Comune di Montemurro, con a capo il sindaco Vincenzo Robilotta, il 15 agosto 1921 inaugura nella piazza a lui intitolata un busto in marmo opera dello scultore Salvatore Grita. Sulla facciata della casa di famiglia viene affissa una lapide dettata da Racioppi, suo amico e principale biografo. Distrutta dal terremoto del 1980, il Comune di Montemurro la ricostruisce e l’affigge in occasione dei festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. La città di Potenza omaggia Giacinto Albini in più modi. A lui intitola una strada e nel 1893 espone una lapide nell’Atrio del Palazzo della Provincia, edificio che custodisce nei piani superiori anche un suo busto realizzato dallo scultore Carmine Genua. Inoltre, nel primo centenario del 18 agosto la città gli dedica un monumentale sepolcro nel cimitero cittadino. L’11 marzo 1923 anche Roma rende omaggio a colui che ha dedicato la vita all’Unità d’Italia. Il consiglio comunale della Capitale, sindaco sen. Luigi Rava, delibera all’unanimità la collocazione del busto in marmo di Giacinto Albini nel giardino del Pincio, in ricordo delle sue virtù di uomo dall’alto intelletto e dall’animo buono con cui tenacemente aveva combattuto per la Patria libera ed unita (Giuseppe Mazzini lo chiamava “fratello nella Patria”). L’opera scolpita da Vito Pardo campeggia insieme a tanti volti di illustri italiani.

I SUOI SCRITTI

   “Necrologia per Nicola Giacoia” pubblicata sul Giornale di Scienze Morali Legislative ed Economiche di Napoli, 1842; “Ore Poetiche” volume di poesie dedicate al padre, Napoli 1845; “Ai cittadini lucani”, Potenza 1860; “Agesilao”, Milano 1884; “Eco di ore Malinconiche”, Roma 1894; “L’addio di Byron”, Roma 1894; “Poesie varie”, Bologna 1884; “Polinnia”, Roma 1907 dedicata all’amico Carlo Pisacane; “Albini e Mignogna – Lettera a Garibaldi”, Potenza 1860; “Corso elementare tecnico pratico di lingua latina”, tipografia G. Ranucci, Napoli 1850.

 

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