GIUSEPPE CAPOCASALE

Giuseppe Capocasale nasce a Montemurro il 1° marzo 1754. E’ figlio unico di Lorenzo e Maria Lucca. La sua non è una famiglia benestante, il padre fa di mestiere il fabbro e il giovane lo affianca nel tentativo di sostenere le entrate economiche. Il lavoro, benché duro, non gli impedisce di portare avanti l’innato desiderio di istruzione ed ogni sera da rione Gannano si dirige verso piazza Santa Maria (ora piazza IV Novembre), così chiamata in onore dell’omonima chiesa Madre che qui si erge. Prima di accedere alla piazza vi è l’edicola votiva dedicata alla Madonna, illuminata da una lucerna che i fedeli si preoccupano di tenere sempre accesa. Il debole barlume consente al giovane di studiare, di addentrarsi nelle letture, noncurante del freddo delle sere invernali anche se spesso è scalzo e mal vestito. La luce in casa è utilizzata con molta parsimonia. Comunque è pur sempre un giovane e come tanti si concede a svaghi. Un giorno però uno di questi lo segna a vita. Con i suoi coetanei è alle prese con un gioco di equilibrio. I ragazzi si tengono per mano e formano un cerchio avendo sulle spalle gli altri compagni, sistemati con un piede sulla spalla di uno e con l’altro sulla spalla di un altro. Ruotano e il movimento è accompagnato da una cantilena utile ad incoraggiarsi a vicenda. Invocano San Nicola, a cui Montemurro ha dedicato una chiesa. Giuseppe che si trova in alto perde l’equilibrio, cade con la faccia a terra rompendosi il naso e restandone sfregiato. Nel 1769 il padre muore ed ora tocca a lui, quindicenne, portare il peso della famiglia stretta da una perenne indigenza. Solo i libri riescono a lenire le fatiche, sono gli amici fidati che possono far cambiare direzione alla sua vita come poi effettivamente avviene. La cultura accumulata con tanti sacrifici lo rende uomo dotto e pertanto noto. È richiesto come insegnante privato presso famiglie nobili di Corleto, Stigliano e San Mauro Forte ma non tralascia gli studi di Diritto e Filosofia. A venti anni è Governatore del comune di Sarconi, ottenendo l’ammirazione del feudatario barone Pignatelli per il suo modo saggio di amministrare la giustizia. La premura nell’aiutare gli altri lo porta ad impegnare risorse proprie fino ad indebitarsi. Lascia poi la carica e si reca a Napoli, dove consegue la laurea in Giurisprudenza. Qui fonda una scuola dove insegna Filosofia che in molti frequentano. Il 25 maggio 1800 a quarantasette anni veste l’abito talare, ottemperando l’altra innata vocazione per la religione. Il 17 ottobre del 1804 il re Ferdinando IV, riconoscendone la levatura culturale e premiando la fama di rettitudine e saggezza, lo nomina lettore di Logica e Metafisica, mentre il 7 aprile 1818, professore di Diritto di Natura e delle Genti all’Università di Napoli. Nel 1822 è assunto come precettore del Principe Ferdinando II di Borbone nelle discipline filosofiche e giuridiche. La sua notorietà cresce e raggiunge i più rinomati centri culturali della penisola. Diventa membro di accademie come la Parmense, la Fiorentina, la Augusta di Perugia, la Cosentina, l’Aletina e Renia di Bologna, degli Intrepidi di Ferrara, de’ Nascenti e degli Assorbiti di Urbino, dei Filoponi di Faenza. La casa reale lo sceglie come direttore spirituale, carica che accetta senza ricompensa, ritenendo il ministero gratuito per tutte le persone. Non accetta favori ed onori e non accetta nemmeno i vescovadi di Cassano e di Sora, Aquino e Pontecorvo che gli vengono proposti preferendo continuare con l’insegnamento. Nella sua mente è sempre fermo il ricordo dei suoi genitori e dei loro precetti, da cui è convinto, ha tratto l’onore e la fama. Il 23 ottobre 1828 muore per malattia nella villa Reale di Portici. Il cordoglio è unanime e Ferdinando II dà pubbliche onoranze alle spoglie del suo insegnante, fedelissimo alla Corona borbonica tanto da condannare i moti carbonari che irrompono nel 1820. Muore così un uomo dotto e pio, noto con l’appellativo “Socrate cristiano” a cui il sacerdote Francesco Silvestre da San Giorgio Lucano dedica questo pensiero: “Quod maximam potestatis severitatem summa temperasset aequitate, omnibus carissimus fuit”.
Abbiamo visto tanti sono stati i suoi allievi, molti dei quali si sono distinti nel panorama culturale dell’800. Fra tutti ricordiamo Francesco Iavarone (vescovo, teologo e archeologo), Giustino Quadrari (sacerdote, archeologo e filologo), Giuseppe Scorza, Gaetano Arcieri (scrittore, poeta e docente di diritto italiano), Giuseppe Mezzarella (sacerdote e professore di filosofia nel seminario di Pozzuoli e professore di Scienza della Storia nell’Università di Napoli, Ispettore Generale della P.I., revisore dei libri esteri). Essi rappresentano il notevole lascito culturale dell’illustre montemurrese, che incomprensibilmente non ha avuto molte menzioni da parte di futuri scrittori italiani e stranieri. Tra chi si è occupato di lui troviamo i filosofi Giovanni Gentile, che ne parla nel saggio “Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi” (Milano, Treves 1930 – seconda edizione), Francesco Fiorentino, che è stato influenzato proprio dal pensiero e dagli scritti di Capocasale, ed Eugenio Garin.
I SUOI SCRITTI
Vasta e varia è la sua opera, che comprende testi di carattere scientifico, giuridico, filosofico, religioso. “Cursus Philosophicus, sive universae philosophiae istitutiones” – Napoli 1814; “Codice eterno ridotto in sistema secondo i veri principi della ragione e del buon senso” – Napoli 1793); il “Catechismo dell’uomo e del cittadino” – Napoli 1793; il “Saggio di politica privata per uso dei giovanetti” – Napoli 1791; il “Saggio di fisica per i giovanetti” – Napoli 1796; le “Istituzioni elementari di matematica” – Napoli 1824; la “Divota novena del gloriosissimo taumaturgo S. Mauro” – Roma 1781; “L’esercizio di divozione verso il glorioso confessore S. Rocco” – Napoli 1781; “Padre Nemnary. Scienza dei Santi” tradotto in italiano e parafrasato.

 

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